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Translation by Andrej Maksimovič
Francia, nei pressi della foresta di Songy, settembre 1731. I primi a vederla, pensando di aver visto il diavolo, fuggono via gridando. «Il diavolo! Il diavolo!». Lei è una bambina a piedi nudi, il corpo coperto di pelli e brandelli di stoffa, in testa una zucca vuota, il viso e le mani scuri come quelli di una persona di colore. Tutti corrono velocemente a casa per chiudere porte e finestre. Faceva paura anche perché era armata di un bastone, una sorta di clava. Così ce la descrive Marie-Catherine Hecquet nelle primissime battute della Storia della bambina selvaggia in italiano con la traduzione curata da Graziano Benelli (che firma anche l’Introduzione) uscita per la casa Elliot, a gennaio 2024. Una storia tanto sorprendente quanto vera che si pone in un dialogo mai sazio su civiltà e libertà, come sul rapporto fra natura e cultura. La straordinaria avventura femminile – degna di diventare nota come gli altri casi maschili più illustri – viene infatti registrata nel lontano 1755 dalla dama di carità Marie-Catherine Hecquet, scrittrice di un solo libro: Histoire d’une jeune fille sauvage, trouvée dans les bois à l’âge de dix ans, uscito nell’affascinante Parigi del 1755. Il libro, una sorta di romanzo-inchiesta, esce senza indicazione dell’editore ma, secondo Benelli, probabilmente si tratta del sensibile libraio Duchesne, che diventerà noto soprattutto per la pubblicazione dell’Emilio di Rousseau e delle tragedie di Voltaire. Insomma parliamo di autori e opere settecentesche ben più note di questa inedita Storia della bambina selvaggia e che trattano il tema del “buon selvaggio”, declinato ovviamente al maschile. Ma chi è questa dama di carità, nata a Abbeville nel 1686 e morta a Parigi nel 1764 e come entra in rotta di collisione con la bambina selvaggia? «Frequentatrice del convento delle Hospitalières situato nel faubourg Saint-Marceau di Parigi, conosce in convento colei che, circa vent’anni prima, era stata la bambina selvaggia e che ora risponde al nome di Mademoiselle Marie-Angélique-Memmie le Blanc». Con la ragazza Hecquet si comporta come una psicoanalista ante litteram: la frequenta assiduamente, avvia un dialogo amichevole e paziente alla ricerca delle sue origini. La storia della fille sauvage disoriente e sconcerta non solo la Francia, ma tutta Europa. Il libro viene tradotto immediatamente in tedesco (1756) e in Inghilterra e in Scozia (1760). La storia appare anche in italiano, siamo nel 1756 a Venezia, la Stamperia Remondini lo rende con il titolo Istoria d’una fanciulla salvatica ritrovata ne’ boschi in età di dieci anni, pubblicata già da madama H… T… ed ora dalla francese nella toscana lingua tradotta. I primi passi che la bambina selvaggia muove verso la civilizzazione o “l’educazione” sono passi verso l’inganno e la coercizione. «Mademoiselle le Blanc (è questo il cognome che le hanno dato) si ricorda benissimo di aver attraversato un fiume due o tre giorni prima di venire catturata; questo episodio ricorre in tutti i suoi racconti. All’epoca aveva una compagna un po’ più vecchia ma scura come lei, a causa del naturale colore della pelle oppure per la poca pulizia. Entrambe attraversavano i fiumi a nuoto e si tuffavano per catturare qualche pesce». Il fiume con tutta probabilità era la Marna, motivo che spinge la narratrice a ipotizzare che la bambina provenga dalla Lorena. Agile, forte, veloce, i movimenti incredibilmente rapidi insieme a un particolare modo di correre «singolare e fulmineo» rendono questa creatura quasi fantastica.
Dotata di grossi pollici, più grandi rispetto al resto delle mani, mangiava senza masticare qualsiasi tipo di carne o pesce crudi che catturava e pescava agilmente lei stessa. Altrettanto singolare la pietra dello scandalo, il motivo di allontanamento dalla compagna di avventure prima della “civilizzazione”: aveva trovato un rosario. «Temendo che la compagna si impadronisse di quel piccolo tesoro, allungò il braccio per raccoglierlo, cosa che le procurò un forte colpo di clava sulla mano, a tal punto che per un istante ne perse l’uso, ma questo non le impedì, con l’altra mano, di colpire sulla fronte la compagna, stendendola a terra con urla tremende». L’oggetto del contendere venne presto usato come braccialetto ma la piccola selvaggia, mossa a compassione, prese una rana e, dopo averla sventrata, la mise sulla ferita della compagna per fermare il sangue. L’educazione passa necessariamente anche attraverso l’alimentazione: «La cosa più difficile, e forse la più pericolosa, fu farle smettere di mangiare la carne cruda, le foglie, i germogli e le radici degli alberi; il suo stomaco, abituato da tempo a nutrirsi di alimenti crudi pieni di sostanze naturali, non riusciva ad abituarsi a cibi più delicati, che la cottura rende indigesti». La giovane amava soprattutto il pesce crudo e le rane in modo particolare che, in diverse occasioni, anche importanti, metteva nei piatti dei convitati, vive e saltellanti. Ma quali erano davvero le sue origini? «Mademoiselle le Blanc confessa di aver iniziato a riflettere solo dopo i primi rudimenti educativi, perché durante tutto il periodo che ha trascorso nella foresta, non aveva altre idee se non quelle legate alle sue necessità e al desiderio di soddisfarle. Non ricorda né suo padre né sua madre e neanche altre persone della sua terra, neppure del suo villaggio; non ricorda di aver visto case, ma solo scavi nel terreno e una specie di capanne, baracche (sono le sue parole) in cui si entrava a carponi. Le sembra di rammentare che le capanne fossero coperte di neve». Ecco quindi, in forza di questa rivelazione insieme al pallido ricordo di una sorta di lupo di mare, all’alimentazione a base di cibi crudi, all’immergersi nei fiumi gelati, che si fa strada la congettura dell’autrice su una possibile origine eschimese della giovane selvaggia. La supposizione della dama di carità che ha preso a cuore la fille sauvage poggia sulla possibilità che la piccola e la sua compagna di avventure siano state portate «dalle terre artiche alle Antille francesi – forse a Santo Domingo o in Guadalupa o ancora in Martinica» e siano state vendute a un colono francese che poi ha fatto ritorno in patria. Alla bambina selvaggia vengono sottoposti anche modellini di selvaggi, con abiti tradizionali, tra cui un uomo e una donna vestiti da eschimesi su cui posa il suo rapido e perspicace sguardo. «A confermare la mia ipotesi non sono state le sue parole, ma piuttosto il fatto che, istintivamente, per un impulso naturale e irrazionale, abbia rivolto la propria attenzione solo verso quei due modellini, rimanendo indifferente nei confronti di tutti gli altri, come se la natura le avesse fatto intuire che solo con i primi aveva qualcosa in comune». Un impulso e una natura selvaggia che vengono accolti non senza un «certo razzismo – appunta Benelli – che si manifesta attraverso una sorta di curiosità morbosa verso quell’essere che assomiglia ai corpi deformi presentati nei baracconi delle fiere e che viene per l’appunto mostrato ai visitatori di turno». A guardarci da fuori, forse, non siamo poi così lontani oggi dal secolo dei “Lumi”.
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Linda Terziroli ha collaborato con la Provincia di Varese, Lombardia Nord-Ovest, Linkiesta e ha curato i libri dedicati allo scrittore Guido Morselli: "Lettere ritrovate" (Nem), "Una rivolta e altri scritti" (Bietti), "Guido Morselli un Gattopardo del Nord" (Macchione), il racconto inedito "Il Grande Incontro" (De Piante Editore). Nel 2019, ha pubblicato la biografia dello scrittore "Un pacchetto di Gauloises", per Castelvecchi. Nel maggio 2020 ha partecipato con un suo racconto inedito, "Il bambino in mongolfiera" al progetto editoriale "Aut libri aut liberi. Otto racconti al tempo della peste" (De Piante Editore) e a luglio 2020 ha pubblicato "La casa svedese" (Amazon, KDP). Insegna Lettere all’Istituto Anna Frank di Varese e scrive su Pangea.news e Houzz.it.
THE SAVAGE GIRL
France, near the Forest of Songy, September 1731. The first people to see her, presuming to have seen the devil, run away shouting. «The devil! The devil!». She is a barefoot child, her body covered in skins and scraps of cloth, an empty gourd on her head, her face and hands as dark as those of a black person. Everyone quickly ran home to close doors and windows. She was scary also because she was armed with a stick, a sort of club. This is how Marie-Catherine Hecquet describes her in the very first lines of An Account of a Savage Girl, Caught Wild in the Woods of Champagne. A story that is as surprising as it is true, and which is part of a never-quite-filled dialogue on civilisation and freedom, as well as on the relationship between nature and culture. The extraordinary female adventure – worthy of becoming as well known as the other more illustrious male cases – is in fact recorded as far back as 1755 by the Lady of Charity Marie-Catherine Hecquet, writer of a single book: Histoire d'une jeune fille sauvage, trouvée dans les bois à l'âge de dix ans, published in the fascinating Paris of 1755. The book, a kind of novel-investigation, came out without indicating any publisher; although it was probably published by the sensitive bookseller Duchesne, who would become best known for publishing Rousseau's Emile and Voltaire's tragedies. In all, we speak of eighteenth-century authors and works much better known than this unpublished Account of a Savage Girl and that deal with the theme of the good savage, obviously declined in the masculine form. But who is this Lady of Charity, who was born in Abbeville in 1686 and died in Paris in 1764, and how does she enter on a collision course with the Savage Girl? «A frequenter of the Hospitalières convent located in the faubourg Saint-Marceau in Paris, she met there in the convent she who, some twenty years earlier, had been the Savage Girl and who now answers to the name of Mademoiselle Marie-Angélique-Memmie le Blanc». Hecquet behaves with the girl as an ante litteram psychoanalyst: she assiduously attends her and initiates a friendly and patient dialogue in an effort to discover her origins. The story of the fille sauvage disorients and bewilders not only France, but all of Europe. The book is immediately translated and published in Germany (1756), in Italy (1756) and in England and Scotland (1760). The first steps that the Savage Girl takes towards civilisation or «education» are steps towards deception and coercion. «Mademoiselle le Blanc (this is the surname she was given) remembers very well traversing a river two or three days before she was captured; this episode recurs in all her stories. At the time, she had a companion who was a tad older than her but just as dark, either because of the natural colour of her skin or because she was not so clean. They would both swim across the rivers and dive to catch a few fish». The river was most probably the Marne, which leads the narrator to speculate that the girl came from Lorraine. Agile, strong, fast, incredibly quick movements together with a particular way of running ‘singular and lightning fast’ render this creature almost fantastic.
Endowed with large thumbs, larger than the rest of her hands, she ate without chewing any raw meat or fish that she captured and deftly fished herself. Equally peculiar was the stone of scandal, the reason for her estrangement from her companion before her ‘civilisation’: she had found a rosary. «Fearful that her mate would take possession of the little treasure, she reached out to pick it up; action which caused her companion to hit her on the hand with a club so hard that she lost the use of it for a moment, but this did not prevent her from hitting her friend on the forehead with her other hand, knocking her to the ground with tremendous screams». The object of contention was soon used as a bracelet, but the little savage, moved to compassion, took a frog and, after disembowelling it, put it on her companion's wound to stop the bleeding. Education necessarily passes also through nutrition: «The most difficult thing, and perhaps the most dangerous, was to get her to stop eating raw meat, leaves, shoots and tree roots; her stomach, long accustomed to eating raw foods full of natural substances, could not get used to more delicate foods, which cooking makes indigestible». She especially loved raw fish and frogs in particular, which, on several occasions, even important ones, she would put on the plates of her guests, alive and frolicking. But what actually were her origins? «Mademoiselle le Blanc confesses that she did not begin to think until after her first educational rudiments, because during all the time she spent in the forest, she had no ideas other than those related to her needs and the desire to satisfy them. She remembers neither her father nor her mother, nor any other people from her land, not even from her village; she does not remember seeing any houses, but only excavations in the ground and a kind of huts, shacks (these are her words) into which one entered by crawling on hands and knees. She seems to remember that the huts were covered with snow». Thus, on the strength of this revelation together with the pale recollection of a kind of sea wolf, the eating of raw food, and the plunging into frozen rivers, the author's conjecture about a possible Eskimo origin of the young savage comes to the fore. The supposition of the charitable lady who took the fille sauvage to heart rests on the possibility that the little girl and her companion were taken «from the Arctic lands to the French Antilles – perhaps to Santo Domingo or Guadeloupe or even Martinique» and sold to a French settler who later returned home. The wild child is also shown models of savages, in traditional dress, including a man and a woman dressed as Eskimos, on whom she casts her quick and discerning gaze. «What confirmed my hypothesis was not her words, but rather the fact that, instinctively, out of a natural and irrational impulse, she only turned her attention to those two models, remaining indifferent to all the others, as if nature had made her realise that only with the former did she have something in common». An impulse and a savage nature that are welcomed not without a «certain racism – notes Benelli, italian translator of th book – which manifests itself through a sort of morbid curiosity towards that creature that resembles the deformed bodies presented in the circus fairs and which is precisely shown to visitors on duty». Looking at us from the outside, perhaps we are not so far today from the Age of "Enlightenment".
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Linda Terziroli collaborated with Provincia di Varese, Lombardia Nord-Ovest, Linkiesta and edited the books dedicated to the writer Guido Morselli: "Lettere ritrovate" (Nem), "Una rivolta e altri scritti" (Bietti), "Guido Morselli un Gattopardo del Nord" (Macchione), the unpublished story "Il Grande Incontro" (De Piante Editore). In 2019, she published the writer's biography "Un pacchetto di Gauloises", for Castelvecchi. In May 2020, she participated with one of her unpublished short stories, "Il bambino in mongolfiera" in the publishing project ‘Aut libri aut liberi. "Aut libri aut liberi. Otto racconti al tempo della peste" (De Piante Editore) and in July 2020 she published “The Swedish House” (Amazon, KDP). She teaches Literature at the Anna Frank Institute in Varese and writes on Pangea.news and Houzz.it.
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