ITA/ENG
di Francesco Zevio
Translation by the author
Guarda la fifa a cosa ci ha ridotto,
o mio compagno dalla grande bocca.
Guarda il tabacco nostro che si sbriciola,
Schiaccianoci, babbeo, caro amico.
Come uno storno fischiarsi la vita,
come torta di noci divorarla –
ma è un desiderio proibito…
Osip Mandel'štam
L’imporsi di una certa terminologia nel discorso pubblico, quindi il fatto che una popolazione si assuefaccia all’uso di alcuni termini piuttosto che ad altri, non è cosa neutra e priva di conseguenze.
Il mondo non ha senso. O meglio: non produce senso. Nel mondo noi osserviamo prodursi e riprodursi organismi in varie forme: vediamo venti, tempeste, alberi e animali, maree, eruzioni, cataclismi… mai senso. È l’uomo che dice “pianta”, che dice “animale”, che dice Zeus, Poseidone, Efesto, teomachia, colpa, castigo… è solo l’uomo che, intorno a questo, può organizzare il senso e così stabilire le leggi, gli equilibri della sua vita individuale e sociale. È solo l’uomo che produce senso – è l’uomo che, nominandolo, fa esistere qualcosa come e in quanto senso – è l’uomo che, attraverso le parole, evoca le cose dal continuum dell’anonimato convocandole nell’universo del senso. Le parole veicolano idee e concetti, contribuiscono a formare visioni del mondo. E questo perché i termini determinano la realtà – ovvero ne pongono appunto i termini, ne tracciano i confini, la restringono e costringono, ne fanno una figura a noi comprensibile – permettendoci così di organizzarvi la nostra vita sociale, di gestirvi la nostra condotta. Idea in Greco significa “forma” e deriva da un verbo legato al senso della vista. Le idee sono strumenti mentali di visione attraverso cui noi vediamo e quindi riconosciamo la realtà come strutturata in un certo modo, secondo una certa organizzazione. Per questo motivo la definizione di Dubbio come disseminazione di teorie è giusta: ricordando che anche teoria, in Greco, è termine legato alla visione.
Ancora una volta: i termini veicolano idee e concetti. Sono entità che, sebbene astratte, hanno un’influenza e un potere affatto concreti sulla realtà, essendo capaci di plasmarla secondo il loro senso (qui da intendersi anche come direzione). Se fatti propri, se impiegati e ampiamente condivisi da buona parte di un gruppo umano, i termini avvallano, giustificano forme di vita sociale: dagli usi più semplici e quotidiani alle decisioni politiche, alle strutture cultuali, all’organizzazione del sapere, alle pianificazioni economiche più complesse.
Ora, se considerata da quest’ottica, la pandemia ha scaricato sul mercato delle idee un nuovo concetto: quello di malato asintomatico. In questo articolo voglio chiedermi: quali possono essere le conseguenze dell’imporsi di tale termine nel discorso pubblico? Perché una cosa è che un termine (come per esempio “razza”) venga impiegato in una ristretta cerchia di specialisti, ben altra cosa è che venga dato in pasto alla stampa, alla politica, all’intero corpo di una popolazione (come per esempio… “razza”).
Prima di tutto, va notato che il termine e il concetto di malato asintomatico deriva da una branca del sapere particolare: la medicina. Nota non peregrina, perché più un sapere è capace di imporre i propri termini nel discorso pubblico, più questo sapere è forte e capace di trasfondere la propria lettura del mondo alla società, aumentando il prestigio del proprio sapere e il potere di istituzioni, con relativi specialisti, detentrici di tale sapere, il quale pure servirà ad implementare / autorizzare decisioni politiche. Passiamo ora ad alcune osservazioni più specifiche.
Prima osservazione: prima del concetto di malato asintomatico, in generale, si era soliti distinguere lo stato di salute umana tra sano e malato. Dall’imporsi di questo termine, quindi da oltre un anno e mezzo, gli occhi di buona parte di quel mondo che produce e fa girare le notizie sono focalizzati su dati che riguardano anche questa terza categoria, instabile e sfuggente, della salute umana. Dobbiamo dunque essere coscienti e non dimenticare che in base a tale concetto, quindi ai dati estratti dalla realtà interpretata secondo tale concetto, sono programmati e messi in campo interventi politici, scelte economiche, investimenti in settori specifici, mutamenti dei costumi.
Seconda osservazione: se “prima” la decisione in base all’essere sano o malato dipendeva ancora, almeno in parte, dall’individuo – il quale esprimeva un giudizio sul suo stato di salute basandosi sulla percezione autonoma del proprio corpo –, ora essa sta venendo sempre più monopolizzata dalla strumentazione e dal sapere medico. Ciò è fatalmente legato, non solo alla natura e al decorso delle malattie infettive, ma anche all’efficacia del metodo e della pratica del sapere medico: ovvero alla strumentazione tecnica a sua disposizione, ai dati raccolti da tale strumentazione, al sapere strutturato a partire da tali dati, all’azione intrapresa a partire da questo processo, ai risultati ottenuti da tale azione; risultati che saranno a loro volta interpretati dalla medesima strumentazione e da questa ritradotti in altri dati, dati riferiti al medesimo sapere, sapere sulla cui base si procederà a nuovi interventi… e via daccapo. Ciò si avvicina al concetto di inscrizione come descritto da Woolgar e Latour in Laboratory Life: “[…] concentriamo l’attenzione su schemi e figure e dati, dimenticandoci delle procedure materiali che li hanno prodotti, o accordandoci per rigettarle nell’ambito della pura tecnica […] sarebbe un errore quello di prendere come punto di partenza le differenze fra ciò che in scienza è tecnica e ciò che non lo è […] assistiamo allora alla trasformazione di ciò che altro non è se non il mero risultato di una inscrizione in oggetto che si inserisce e aderisce alla mitologia vigente […] senza spettrometro, nessuno spettro: di fatto i fenomeni non solo dipendono dal materiale, ma sono interamente costituiti dagli strumenti impiegati nel laboratorio. E così abbiamo costruito, grazie agli strumenti d’iscrizione, una realtà artificiale, di cui chi impiega tali strumenti parla come di una entità oggettiva. Questa realtà, che Bachelard chiama fenomenotecnica, assume l’apparenza del fenomeno nel processo stesso della sua costruzione tramite tecniche materiali” (S. Woolgar / B. Latour, Laboratory Life. The Social Construction of Scientific Facts).
Terza osservazione: a differenza dei sani e dei malati, i malati asintomatici non hanno uno stato definito. Ognuno può esserlo: e questo indipendentemente da come egli si senta e percepisca, indipendentemente dalla presenza, non tanto di una patologia, ma addirittura di una sintomatologia percepibile dall’individuo. La diagnosi avviene attraverso strumenti e tecnologie sempre più complesse su cui il paziente non ha il benché minimo controllo, la benché minima autonomia. Ora: non è che la cosa sia sbagliata in sé. Il fatto di demandare la propria personale facoltà decisionale a strumentazioni e a corpi di specialisti detentori di saperi ad esse relativi non è di per sé stesso negativo, anzi, è una cosa che facciamo in continuazione prendendo aerei, mandando i bambini a scuola, eleggendo rappresentanti.
Ciò detto, resta a mio avviso ragionevole – nonché opportuno, visto che oltre a rappresentativa si sente anche parlare di democrazia – chiedersi se e fino a che punto questa espropriazione dell’uomo dalla facoltà di decidere del proprio stato di salute sia cosa buona; proprio come resta ragionevole chiedersi fino a che punto sia opportuno che qualcosa del genere avvenga anche in politica e nel dibattito politico.
TOOLS OF THINKING PART IV - THE ASYMPTOMATIC PATIENT
See what fear has forced us into,
o my big-mouth comrade.
See our tobacco crumbling apart,
nutcracker, doltish, dear friend.
To whistle life as a starling,
to eat it like a walnut pie –
but that’s a forbidden desire…
Osip Mandel'štam
The fact that a certain terminology gradually stands out in public discourse, so the fact that a population becomes accustomed to the use of some terms rather than others, is not something neutral and without consequences.
The world has no meaning. Or rather: it does not produce meaning. In the world we observe organisms producing and reproducing themselves in various forms: we see winds, storms, trees and animals, tides, eruptions, cataclysms… we never see meaning. It is the human being who says “plant”, who says “animal”, who says Zeus, Poseidon, Hephaestus, theomachy, guilt, punishment… it is only the human being who, by pivoting on this, can organize meaning and sense which allow him to establish the laws, the balance of his individual and social life. Only the human being produces meaning: it is the only creature who, by the act of naming it, makes something exist as meaning, the only creature who evokes things from the continuum of anonymity, summoning them into the universe of meaning. Words convey ideas and concepts: they contribute to form views of the world. And this is because terms determine reality – that is: they set its terms, they draw its boundaries, they restrict and force it, making it an understandable figure to us – thus allowing us to organize our social life and to manage our conduct within reality. Idea means “form” in Greek and derives from a verb related to the sense of sight. Ideas are mental tools of vision through which we see and therefore recognize reality as structured in a certain way, according to a certain organization. For this reason, the definition of Doubt as the dissemination of theories is correct: remembering that theory too, in Greek, is a term linked to vision.
Once again: terms convey ideas and concepts. They are entities that, although abstract, have a rather concrete influence and influence on reality, since they can shape it according to their meaning and sense, here also to be understood as “direction”. If made their own, if used and widely shared by a large part of a human group, the terms endorse and justify forms of social life: from the simplest and most daily customs up to political decisions, cultural structures, organization of knowledge and most complex economic planning.
If considered from this perspective, the pandemic has unleashed a new concept on the market of ideas: that of asymptomatic patient. In this article I want to ask myself: what are the consequences of the imposition of this term in public discourse? Since it makes quite a big difference if a term (such as “race”, for example) is only used in a narrow circle of specialists or if it spread and thrown to press, politics, to the whole population (such as… “race”).
First of all, it should be noted that the term and concept of asymptomatic patient derives from a particular branch of knowledge: medicine. This is not an irrelevant remark: the more a certain branch of knowledge manages to impose its own terms in public discourse, the stronger its knowledge is and thus its faculty of transmitting to society its own view of the world, increasing the prestige of its knowledge and the power of its institutions and specialists – the (stake)holders of its knowledge – therefore its role and weight in political decision-making. Let us now turn to some more specific observations.
First observation: before the concept of asymptomatic patient, in general, it was customary to distinguish the state of human health between healthy and sick. Since this term has established itself, that it to say for over a year and a half, the eyes of a large part of that world that produces and circulates news have been focused on data that also concern this third unstable and elusive category of human health. We must therefore be aware and not forget that on the basis of this concept (that is to say: of the data extracted from reality interpreted according to this concept) political interventions, economic choices, investments in specific sectors, changes in customs are planned and implemented.
Second observation: if “before” the decision about being healthy or sick still depended, at least in part, on the individual – who expresses a judgment on his state of health based on the autonomous perception of his own body –, now it is becoming more and more monopolized by instrumentation and medical knowledge. This is necessarily linked not only to the nature of infectious diseases, but also to the efficacy of the methods and practices of medical knowledge: that is, to the technical instrumentation at its disposal, to the data collected by this instrumentation, to the knowledge structured out of these data, to the action undertaken having this whole process as starting point, to the results obtained from this action; results that will in turn be interpreted by the same instrumentation which will also retranslate them into other data, data which are to be referred to the same knowledge, knowledge on the basis of which we will proceed to new interventions… and so on. This comes close to the concept of inscription as described in Laboratory Life: “[…] the diagram or sheet of figures becomes the focus of discussion between participants, and the material processes which gave rise to it are either forgotten or taken for granted as being merely technical matters […] it would be wrong to take differences between what is and is not technical in science as the starting point […] There thus occurs a transformation of the simple end product of inscription into the terms of the mythology which informs participants’ activities […] the spectrum produced by a nuclear magnetic resonance (NMR) spectrometer would not exist but for the spectrometer. It is not simply that phenomena depend on certain material instrumentation; rather, the phenomena are thoroughly constituted by the material setting of the laboratory. The artificial reality, which participants describe in terms of an objective entity, has in fact been constructed by the use of inscription devices. Such a reality, which Bachelard terms the phenomenotechnique, takes on the appearance of a phenomenon by virtue of its construction through material techniques” (S. Woolgar / B. Latour, Laboratory Life. The Social Construction of Scientific Facts).
Third observation: unlike the healthy and the sick, asymptomatic patients do not have a definite state. Everyone can virtually be it: and this regardless of how he feels and perceives himself, regardless of the presence, not so much of a pathology, but of a symptomatology perceivable by the individual. Diagnosis takes place through increasingly complex tools and technologies over which the patient does not have the slightest control, not the least autonomy. It is not that the thing is wrong in itself. The fact of delegating one’s personal decision-making faculty to instrumentations and to specialists who possess knowledge relating to them is not negative in itself, on the contrary, it is something we do all the time by taking planes, sending children to school, electing representatives.
That said, it remains in my opinion reasonable and appropriate – given that, in addition to representative, we also hear about democracy – to ask ourselves whether and to what extent this expropriation of the human being from making a decision on his own state of health is a good thing; just as it remains reasonable to ask ourselves to what extent it is appropriate that something similar occurs in politics and political debate.
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