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Translation by Aurora Licaj
Il concetto di incertezza sembra avere un ruolo marginale nel panorama della fisica classica, le cui leggi si applicano con successo in modo deterministico ai fenomeni che possiamo osservare nella nostra vita quotidiana. Tuttavia, se prendiamo in considerazione quello che succede nel mondo atomico e subatomico ci accorgiamo che il concetto di incertezza è in realtà l’unico che ci permette di spiegare le bizzarre caratteristiche delle entità che popolano tale mondo.
Proviamo ad osservare un calciatore che si accinge ad eseguire un calcio di rigore. Affinché il lancio abbia successo il giocatore dovrà decidere rapidamente il valore di alcune grandezze fisiche che determineranno la traiettoria della palla, come ad esempio la forza da imprimerle o l’angolazione con la quale colpirla. Il giocatore dovrà anche valutare i possibili effetti sul tiro determinati dalle condizioni in cui il lancio avverrà, come ad esempio la presenza o meno di vento oppure lo stato del terreno di gioco. Se il giocatore sarà stato così bravo da impostare i valori corretti necessari per l’esecuzione del tiro e avrà considerato tutte le grandezze fisiche che lo possono influenzare la traiettoria di lancio sarà corretta ed arriverà il goal.
Il calciatore in realtà, senza probabilmente saperlo, sta mettendo in pratica quanto affermato nel 1814 dal filosofo e matematico francese Pierre-Simon Laplace (Figura 1) nella sua opera Essai philosophique sur les probabilités: “noi dobbiamo riguardare il presente stato dell’Universo come l’effetto del suo stato precedente e come la causa di quello che seguirà. Ammesso per un istante che una mente possa tener conto di tutte le forze che animano la natura, assieme alla rispetti va situazione degli esseri che la compongono, se tale mente fosse sufficientemente vasta da poter sottoporre questi dati ad analisi, essa abbraccerebbe nella stessa formula i moti dei corpi più grandi dell’Universo assieme a quelli degli atomi più leggeri. Per essa niente sarebbe incerto e il futuro, così come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi”.
Nell’affermazione di Laplace troviamo enunciata la caratteristica fondamentale con cui le leggi fisiche ci permettono di spiegare i fenomeni osservabili in natura: il determinismo. Se consideriamo un qualsiasi sistema fisico, come ad esempio quello costituito dal calciatore che si accinge a tirare un calcio di rigore, e siamo in grado di conoscere tutte le forze che agiscono sulla palla e le condizioni in cui avviene il lancio allora potremo prevedere con precisione la traiettoria della palla.
Ovviamente quanto affermato da Laplace risulta piuttosto ottimistico, in quanto la determinazione precisa dell’evoluzione di un sistema fisico richiede sia la conoscenza delle forze che agiscono sul sistema che quella delle condizioni che definiscono il suo stato iniziale e, normalmente, non tutte queste grandezze possono essere note o note con sufficiente precisione. Il fatto fondamentale contenuto però nell’affermazione di Laplace è che, almeno in linea di principio, una previsione di tipo deterministico può essere fatta disponendo di tutte le informazioni necessarie.
Dobbiamo quindi concludere che nella fisica classica, ossia nella fisica che ci permette di spiegare i fenomeni che incontriamo nella nostra vita quotidiana, non c’è spazio per l’incertezza e l’imprevedibilità? Proviamo a considerare un sistema fisico molto più complesso di quello considerato prima e cioè, per esempio, un sistema di nubi che si spostano nel cielo (Figura 2).
Cosa dovremmo fare per determinare la traiettoria seguita da questo sistema di nubi durante il suo spostamento? Seguendo le indicazioni di Laplace dovremmo conoscere con precisione la posizione e la velocità di ciascuna gocciolina di vapore acqueo che compone ciascuna delle nubi del sistema ed al tempo stesso tutte le forze che agiscono su ogni singola gocciolina. Se riuscissimo ad avere veramente tutte queste informazioni saremmo in grado di determinare con precisione la traiettoria del sistema. Sfortunatamente, dal momento che già in un solo metro cubo di nube possono esserci centinaia di milioni di goccioline, non siamo assolutamente in grado di poter conoscere tutte le informazioni che ci servono. La soluzione al nostro problema arriva in questo caso dalla statistica: rinunciamo a conoscere il comportamento di ciascuna gocciolina e consideriamo solamente dei valori medi che ci permettano di studiare nel suo complesso il comportamento dell’intero sistema di nubi.
Prendiamo ora in considerazione un’altra situazione e proviamo a misurare la lunghezza di una penna. Per fare questo avremo bisogno di uno strumento di misura e possiamo utilizzare, ad esempio, un righello graduato in centimetri. Di che tipo di strumento si tratta? E’ un righello simile a quello che si usa comunemente a scuola ma con la differenza che le tacche riportate sul righello corrispondono rispettivamente a 0 cm, 1 cm, 2 cm e così via. Disponiamo adesso la nostra penna a fianco del righello, avendo cura di far corrispondere una delle sue due estremità con l’inizio del righello e cioè con la tacca che indica 0 cm. Supponiamo che la seconda estremità della penna venga a trovarsi sul righello tra la tacca dei 13 cm e quella dei 14 cm (Figura 3).
Quanto lunga è la penna allora? La domanda sembra banale ma la risposta non è ovvia. Avendo a disposizione solo tacche separate di 1 cm, l’unica cosa ragionevole che potremo dire è che la penna ha una lunghezza compresa tra 13 e 14 cm. Ecco dunque che anche in una semplice misura come questa fa di nuovo capolino il concetto di incertezza. Nel gergo dei fisici l’incertezza viene indicata con la lettera greca delta maiuscola (Δ) seguita da un’altra lettera che identifica la grandezza che stiamo misurando, come ad esempio L per indicare che stiamo prendendo in considerazione una lunghezza. Diremo quindi in questo caso che la misura della lunghezza della nostra penna ha un’incertezza ΔL = 1 cm. Si può cercare di ridurre l’entità di questa incertezza? Basterà scegliere uno strumento “più sensibile”,come ad esempio un righello che sia graduato in millimetri e non più in centimetri (Figura 4).
In questo caso avremo che l’incertezza sulla nostra misura sarà molto più piccola e precisamente sarà data da ΔL = 1 mm. In linea di principio possiamo quindi dire, facendo sicuramente felice Laplace, che l’incertezza può essere resa piccola quanto si vuole purché si disponga di uno strumento con una sensibilità adeguata. In altre parole, l’insorgere dell’incertezza è dovuta esclusivamente alle caratteristiche dello strumento utilizzato.
Abbandoniamo adesso il mondo che ci è familiare e trasferiamoci nel mondo degli atomi, in cui gli attori protagonisti diventano le particelle che li costituiscono, ossia gli elettroni, i protoni ed i neutroni (insieme ad una numerosissima schiera di altre particelle se ci avventuriamo nel mondo subatomico). L’esempio più semplice di atomo esistente in natura è rappresentato dall’atomo di idrogeno, che è formato da un nucleo contenente un solo protone attorno al quale orbita un singolo elettrone (Figura 5).
Come prima cosa cerchiamo di farci un’idea, almeno approssimativa, di quale siano le scale di lunghezza tipiche di questo nuovo mondo. Il raggio r dell’orbita dell’elettrone assume il valore
Quando un numero è scritto in questo formato si dice, in gergo tecnico, che è espresso in notazione scientifica. Perché usare questo strano formato che appare, a prima vista, di difficile comprensione? Il motivo è dovuto al fatto che si tratta di un numero incredibilmente piccolo, se confrontato con le lunghezze con cui siamo abituati a confrontarci nella nostra vita quotidiana. Se volessimo esprimere tale numero usando una sequenza di zeri dovremmo scrivere prima di tutto uno zero, poi inserire il punto decimale, successivamente aggiungere una sequenza di ben 10 zeri ed infine il numero 529. La notazione scientifica ha quindi l’enorme vantaggio di poter scrivere con una notazione compatta un numero che, altrimenti, richiederebbe l’uso di un numero improponibile di zeri. A parole potremmo dire che il raggio dell’orbita dell’elettrone è di circa un millesimo di miliardesimo di metro, ossia qualcosa che è addirittura impossibile immaginare sulla base della nostra esperienza.
Le stranezze del mondo atomico si manifestano proprio a causa del fatto che le scale di lunghezza coinvolte sono enormemente più piccole di quelle a cui siamo normalmente abituati. La prima domanda che sorge spontanea è quindi se le leggi fisiche che conosciamo così bene nel nostro mondo valgano anche per gli atomi. Uno dei primi scienziati che riuscì a formulare una risposta a questa domanda fu il fisico danese Niels Bohr, il quale nella prima decade del 1900 elaborò un modello teorico rivoluzionario dell’atomo di idrogeno. Nel modello di Bohr l’elettrone dell’atomo di idrogeno non poteva occupare orbite qualsiasi nel suo moto attorno al nucleo ma solamente alcune, caratterizzate da precisi valori di energia. Secondo Bohr dunque le orbite erano discrete o, con un termine che sarebbe diventato caratteristico della nuova fisica che stava nascendo, quantizzate. Il comportamento “quantizzato” delle orbite elettroniche dell’atomo di idrogeno non risulta spiegabile con le leggi della fisica classica e, per questo motivo, la fisica che si occupa del mondo atomico ha assunto da quel momento la denominazione di fisica quantistica.
Come si comporta dunque un elettrone che orbita attorno al protone nell’atomo di idrogeno? Secondo il modello di Bohr l’elettrone può saltare da un livello energetico più alto ad un livello energetico più basso emettendo una certa quantità di radiazione che viene veicolata da una particella denominata fotone. Per poter invece passare da un livello energetico più basso ad uno più alto l’elettrone avrà invece bisogno di ricevere una certa quantità di energia. La quantità E di energia veicolata dal fotone è data dalla formula
dove f è la frequenza del fotone ed h è una costante, detta costante di Planck dal nome del fisico tedesco che fu tra i primi ad esplorare la nuova fisica quantistica, il cui valore è
(Figura 6).
La costante di Planck gioca un ruolo fondamentale nella fisica quantistica e caratterizza numerosi fenomeni che avvengono nel mondo atomico e subatomico. Si tratta ancora una volta di un numero straordinariamente piccolo ma che ci permette di intuire quale sia la scala a cui i fenomeni quantistici, con le loro bizzarre proprietà, possano manifestarsi.
La quantizzazione è una proprietà che riguarda non solo i livelli energetici atomici, ma anche le onde elettromagnetiche, di cui la luce visibile è un esempio. In effetti il primo scienziato ad accorgersi all’inizio del secolo scorso di questa singolare proprietà della luce fu proprio Planck. Il fisico tedesco ipotizzò infatti che la luce fosse composta di pacchetti discreti detti quanti, che vennero successivamente denominati con il termine fotoni.
La quantizzazione è solamente una delle bizzarre proprietà di questo nuovo mondo. La sensazione di stranezza che avvertiamo deriva dal fatto che, per forza di cose, cerchiamo di comprendere il mondo atomico e subatomico essendo irrimediabilmente condizionati dalle ordinarie esperienze della nostra vita quotidiana. La fisica quantistica, tuttavia, è una continua fonte di sorprese ed il fenomeno di cui parleremo ora demolisce in modo definitivo il tranquillizzante panorama della fisica classica.
Proviamo ad immaginare un nuovo esperimento (molto) immaginario, in cui il calciatore di cui parlavamo prima si trasferisca in un campionato di calcio quantistico. In questo singolare campionato il pallone è sostituito da un elettrone e il giocatore tenterà l’ardua impresa di fare goal calciando un elettrone. Cosa succede all’elettrone nel momento in cui viene sferrato il calcio?
Concentriamoci su due proprietà fisiche dell’elettrone e precisamente la posizione che esso assumerà sul campo da gioco e la velocità che acquisirà a seguito del calcio. Per comprendere meglio quanto sarà detto in seguito, consideriamo una grandezza fisica diversa rispetto alla velocità ma ad essa strettamente legata. Chiameremo questa grandezza “quantità di moto” e la indicheremo con la lettera p. La quantità di moto p è definita come il prodotto tra la massa m dell’oggetto che stiamo considerando, l’elettrone nel nostro caso, e la sua velocità v. In formule, la quantità di moto di un oggetto è quindi calcolabile con l’espressione:
Perché introdurre questa ulteriore complicazione? La ragione è che nel comportamento dinamico di un oggetto quello che davvero conta è il mix di massa e velocità. Proviamo ad immaginare, per esempio, di lanciare contro una parete una pallina da ping pong ed una palla da biliardo con la stessa velocità. E’ facile intuire che l’effetto sul muro sarà decisamente diverso nei due casi, proprio a causa del fatto che i due oggetti, a parità di velocità, sono caratterizzati da masse diverse.
Nel momento in cui il giocatore sferra il calcio all’elettrone, il nostro pallone quantistico acquisirà un determinato valore di quantità di moto. Quale sarà allora la posizione occupata sul campo da gioco dall’elettrone subito dopo il calcio? Ebbene la risposta sconcertante che dà la fisica quantistica a questa domanda è che non siamo in grado di individuare una posizione precisa. L’elettrone potrebbe trovarsi in un punto qualunque del campo da gioco: vicino al piede del giocatore, a centrocampo, dentro alla porta, dietro alla porta o chissà dove.
Questa sorprendente proprietà degli oggetti quantistici fu ipotizzata nel 1927 dal fisico tedesco Werner Karl Heisenberg e va sotto il nome di principio di indeterminazione. Questa ipotesi teorica è stata successivamente sempre confermata da tutti gli esperimenti che sono stati condotti. Heisenberg in realtà era un brillante fisico teorico e probabilmente non era appassionato di calcio quantistico per cui cerchiamo adesso di definire in modo più preciso l’enunciato del principio di indeterminazione e di capire le sue clamorose conseguenze. Il principio di indeterminazione sancisce che se nel corso di una misura rileviamo con esattezza la quantità di moto di una particella allora non è più possibile conoscerne la posizione, e viceversa. La ragione di questo sorprendente comportamento di una particella quantistica sta, secondo Heisenberg, nel fatto che il processo di misura introduce una perturbazione che modifica le proprietà dell’oggetto sotto osservazione. In formule, avremo che l’incertezza Δp relativa alla quantità di moto di una particella e l’incertezza relativa alla sua posizione Δx sono tra loro legate dalla relazione:
dove h è la costante di Planck.
Traduciamo dal matematichese l’enunciato di questa formula: il prodotto delle incertezze relative alle misurazioni della posizione e della quantità di moto di una particella è sempre maggiore o uguale di un valore numerico dato dal rapporto tra la costante di Planck e 4π. Cosa significa questo fatto? Se cerchiamo di misurare con grande precisione la posizione della particella, rendendo così l’incertezza Δx molto piccola, otteniamo l’effetto di peggiorare la precisione con cui riusciamo a misurare la quantità di moto, rendendo Δp molto grande.
Ecco dunque che l’incertezza irrompe clamorosamente nel mondo quantistico: non si tratta di un effetto dovuto alle caratteristiche degli strumenti utilizzati per effettuare la misura o alle procedure seguite per effettuarla ma bensì di una proprietà intrinseca degli oggetti quantistici, che si manifesta a causa della perturbazione introdotta dalla misura stessa.
E’ interessante ricostruire il modo in cui Heisenberg arrivò a formulare teoricamente il principio di indeterminazione. In fisica quantistica le grandezze misurabili vengono chiamate osservabili e possono essere rappresentate tramite particolari strutture matematiche chiamate matrici. In parole povere una matrice è una tabella di numeri, organizzati in righe e colonne. Cosa succede se effettuiamo un’operazione di moltiplicazione tra due matrici A e B? Senza scendere nei dettagli di questo calcolo, la cosa essenziale che si scopre è che moltiplicando prima A per B e poi B per A non si ottiene necessariamente lo stesso risultato. In gergo matematico si dice che la moltiplicazione tra matrici non gode della proprietà commutativa. Questo è un fatto davvero molto strano ma d’altronde abbiamo visto che la stranezza (almeno per noi osservatori macroscopici) è una caratteristica tipica del mondo quantistico. La non commutatività del prodotto tra matrici fa infatti a pugni con quanto abbiamo imparato fin dai primi anni di scuola: se moltiplichiamo tra loro i numeri 3 e 2 il risultato del calcolo sarà sempre 6 indipendentemente dall’ordine con cui inseriamo i fattori della moltiplicazione. Ciò che Heisenberg scoprì fu proprio che esistono coppie di osservabili, dette coniugate in gergo matematico, che a causa della loro non commutatività sono soggette ad una relazione di indeterminazione come quella che abbiamo visto prima relativamente alla posizione ed alla quantità di moto di una particella.
Un’altra importante coppia di osservabili coniugate, e quindi soggette anch’esse ad una relazione di indeterminazione, è costituita dalla coppia energia e tempo. Se ad un certo istante t cerchiamo di misurare l’energia E posseduta da una particella le due grandezze saranno legate dalla relazione:
La conseguenza di questa espressione è che se cerchiamo ad esempio di individuare con precisione molto grande l’istante t in cui una particella attraversa una fenditura potremo conoscere l’energia E posseduta dalla particella con una precisione molto bassa e viceversa. In altre parole, anche per energia e tempo dobbiamo imparare ad accontentarci e scegliere quale delle due osservabili coniugate vogliamo misurare meglio.
Proviamo ora ad immaginare cosa succederebbe nel mondo macroscopico se fossero percepibili gli effetti del principio di indeterminazione, ritornando all’esempio della misura della nostra penna. Se cercassimo di misurare con sempre maggiore precisione le dimensioni della penna cambiando righello, rendendo così sempre più piccola l’incertezza Δx, l’incertezza Δp sulla quantità di moto, e quindi sulla velocità della penna, aumenterebbe sempre di più. In altre parole, la penna assumerebbe un valore di velocità che non saremmo più in grado di determinare con precisione. Rimarrebbe ferma? Si muoverebbe come una lumaca? O forse schizzerebbe via alla velocità della luce? Chissà. Per fortuna nel nostro mondo ordinario gli effetti del principio di indeterminazione sono assolutamente trascurabili perché la costante di Planck h ha un valore talmente piccolo da risultare insignificante nel caso di oggetti con dimensioni immensamente più grandi rispetto a quelle delle particelle che popolano il mondo quantistico.
Le implicazioni teoriche del principio di indeterminazione hanno davvero una vastità immensa e si ripercuotono anche sui metodi che possono avere una qualche efficacia per descrivere i fenomeni del mondo quantistico. Se è l’incertezza a farla da padrone in questo strano mondo che metodi matematici possiamo utilizzare per descrivere il comportamento degli oggetti che lo popolano? L’unico metodo matematico che ci può venire in soccorso è la teoria della probabilità e questa è forse la conseguenza più dirompente del principio di indeterminazione. Cambia così in modo drastico il paradigma che dobbiamo utilizzare per cercare di conoscere i fenomeni del mondo quantistico. Il meglio che riusciremo a fare, ad esempio, nello studio del comportamento di un elettrone sarà quello di prevedere la probabilità che l’elettrone possa trovarsi in una certa regione dello spazio o la probabilità che la sua velocità assuma un certo valore.
L’irruzione della probabilità nella descrizione del mondo quantistico, risalente all’incirca ai primi due decenni del XX secolo quando la nuova fisica quantistica muoveva i suoi primi passi, non fu accettata da tutta la comunità scientifica dell’epoca. Uno dei più convinti sostenitori di questo approccio fu il fisico danese Niels Bohr, il quale formulò quella che sarebbe stata conosciuta successivamente con il termine “interpretazione di Copenaghen”. L’interpretazione di Copenaghen sostiene che dal momento che non siamo in grado di misurare con precisione la traiettoria di una particella quantistica dobbiamo rinunciare completamente al concetto stesso di traiettoria. Se vogliamo cercare di descrivere il comportamento di una particella il massimo che possiamo fare è cercare di calcolare la probabilità che essa si trovi in una certa regione dello spazio. In questa ottica, ad esempio, le orbite dell’elettrone previste dallo stesso Bohr nel suo modello dell’atomo di idrogeno perdono completamente significato e devono essere sostituite da distribuzioni spaziali di probabilità.
Uno dei più accesi detrattori dell’interpretazione di Copenaghen fu invece Albert Einstein. L’opposizione di Einstein ad una concezione probabilistica dei fenomeni quantistici è passata alla storia con la celebre frase in cui il grande fisico sosteneva che “Dio non gioca a dadi con l’universo”. In realtà la contrarietà di Einstein alle idee propugnate da Bohr si basava sulla considerazione che la nuova fisica quantistica potesse essere una teoria ancora non completa, ossia che la necessità di introdurre concetti probabilistici fosse una sorta di anomalia dovuta alla mancanza di sufficienti conoscenze delle proprietà del mondo quantistico.
Questa profonda disparità di vedute sulla natura del mondo dei quanti in realtà non è stata ancora risolta sul piano teorico, anche se ormai è passato più di un secolo dalla nascita della fisica quantistica, e forse non lo sarà mai. Come hanno fatto allora i fisici a convivere finora con questo enorme dilemma? In modo molto pragmatico ci si è concentrati su questa semplice domanda: la teoria quantistica basata sul concetto di probabilità riesce a spiegare correttamente i fenomeni del mondo quantistico e a formulare previsioni attendibili? Cento anni di esperimenti hanno dimostrato che fortunatamente la risposta a questa domanda è sì.
DETERMINISM OR UNCERTAINTY?
The concept of uncertainty seems to play a marginal role in the landscape of classical physics, whose laws apply successfully in a deterministic way to the phenomena that we can observe in our daily lives. However, if we consider what happens in the atomic and subatomic world, we realize that the concept of uncertainty is actually the only one that allows us to explain the bizarre characteristics of the entities that populate this world.
Let's try to observe a soccer player who is about to take a penalty kick. In order for the kick to be successful, the player will have to quickly decide the value of some physical quantities that will determine the trajectory of the ball, such as the force to be applied to it or the angle at which to strike it. The player will also have to evaluate the possible effects on the shot determined by the conditions in which the kick will take place, such as the presence or absence of wind or the state of the playing field. If the player has been able to set the correct values required for the execution of the kick and has considered all the physical quantities that can influence its trajectory, the trajectory of the kick will be correct and the goal will be scored.
In reality, the soccer player, without probably knowing it, is putting into practice what was stated in 1814 by the French philosopher and mathematician Pierre-Simon Laplace (Figure 1) in his work Essai philosophique sur les probabilités: "we should regard the present state of the Universe as the effect of its previous state and as the cause of that which will follow. Suppose for an instant that a mind could know all the forces that animate nature, along with the respective situation of the beings that compose it, if such a mind were sufficiently vast to be able to subject these data to analysis, it would embrace in the same formula the motions of the largest bodies in the Universe together with those of the lightest atoms. For it, nothing would be uncertain and the future, as well as the past, would be present before its eyes."
In Laplace's statement, we find the fundamental characteristic with which physical laws allow us to explain observable phenomena in nature: determinism. If we consider any physical system, such as the one constituted by the footballer who is about to take a penalty kick, and we can know all the forces acting on the ball and the conditions in which the kick takes place, then we can predict the trajectory of the ball with precision.
Of course, what Laplace claimed is rather optimistic, given that the precise determination of the evolution of a physical system requires both knowledge of the forces acting on the system and that of the conditions defining its initial state, and normally, not all these quantities can be known or known with sufficient precision. However, the fundamental fact contained in Laplace's statement is that, at least in principle, a deterministic prediction can be made by having all the necessary information.
So, should we conclude that in classical physics, i.e., in the physics that allows us to explain the phenomena we encounter in our daily lives, there is no room for uncertainty and unpredictability? Let's try to consider a much more complex physical system than the one considered earlier, such as a system of clouds moving in the sky (Figure 2).
What should we do to determine the trajectory followed by this system of clouds during its movement? Following Laplace's indications, we should know precisely the position and velocity of each water vapor droplet that makes up each cloud in the system, and at the same time, all the forces acting on each droplet. If we could have all this information, we would be able to determine the trajectory of the system with precision. Unfortunately, since there can be hundreds of millions of droplets in just one cubic meter of cloud, we are not able to know all the information we need. The solution to our problem comes in this case from statistics: we give up knowing the behavior of each droplet and consider only average values that allow us to study the behavior of the entire cloud system as a whole.
Now let's consider another situation and try to measure the length of a pen. To do this, we will need a measuring tool and we can use, for example, a ruler graduated in centimeters. What kind of tool is it? It's a ruler similar to the one commonly used in school but with the difference that the marks on the ruler correspond respectively to 0 cm, 1 cm, 2 cm, and so on. Now we place our pen next to the ruler, making sure to align one of its ends with the beginning of the ruler, which is the mark indicating 0 cm. Let's suppose that the second end of the pen is located on the ruler between the mark for 13 cm and that for 14 cm (Figure 3).
How long is the pen then? The question seems trivial, but the answer is not obvious. Having only markings separated by 1 cm, the only reasonable thing we can say is that the pen has a length between 13 and 14 cm. Therefore, even in a simple measurement like this, the concept of uncertainty appears again. In the language of physicists, uncertainty is indicated by the Greek letter delta (Δ) followed by another letter that identifies the quantity we are measuring, such as L to indicate that we are considering a length. We will therefore say in this case that the measurement of the length of our pen has an uncertainty ΔL = 1 cm. Can we try to reduce the magnitude of this uncertainty? It will suffice to choose a "more sensitive" tool, such as a ruler that is graduated in millimeters and not centimeters (Figure 4).
In this case, our measurement uncertainty will be much smaller and precisely given by ΔL = 1 mm. In principle, we can therefore say, surely making Laplace happy, that uncertainty can be made as small as desired provided we have a sufficiently sensitive instrument. In other words, the emergence of uncertainty is solely due to the characteristics of the instrument used.
Let's now leave the familiar world and move into the world of atoms, where the protagonists become the particles that make them up, namely electrons, protons, and neutrons (together with a very large number of other particles if we venture into the subatomic world). The simplest example of an atom existing in nature is the hydrogen atom, which consists of a nucleus containing a single proton around which orbits a single electron (Figure 5).
First of all, let's try to get at least an approximate idea of what the typical length scales of this new world are. The radius r of the electron's orbit takes on the value
When a number is written in this format, it is said, in technical jargon, to be expressed in scientific notation. Why use this strange format that appears, at first glance, to be difficult to understand? The reason is due to the fact that it is an incredibly small number, compared to the lengths with which we are accustomed to dealing in our daily lives. If we wanted to express such a number using a sequence of zeros, we would have to write a zero first, then insert the decimal point, then add a sequence of ten zeros, and finally the number 529. Scientific notation therefore has the enormous advantage of being able to write a compact notation for a number that would otherwise require an unmanageable number of zeros. In words, we could say that the radius of the electron's orbit is about one-thousandth of a billionth of a meter, something that is even impossible to imagine based on our experience.
The strangeness of the atomic world manifests itself precisely because the length scales involved are enormously smaller than those we are normally used to. The first question that naturally arises is whether the physical laws that we know so well in our world also apply to atoms. One of the first scientists who were able to formulate an answer to this question was the Danish physicist Niels Bohr, who in the first decade of the 1900s developed a revolutionary theoretical model of the hydrogen atom. In Bohr's model, the electron of the hydrogen atom could not occupy any orbit in its motion around the nucleus, but only some, characterized by precise energy values. According to Bohr, therefore, the orbits were discrete, or, with a term that would become characteristic of the new physics that was emerging, quantized. The "quantized" behavior of the electronic orbits of the hydrogen atom is not explainable by the laws of classical physics and, for this reason, the physics that deals with the atomic world has since then been called quantum physics.
So how does an electron that orbits around the proton in the hydrogen atom behave? According to Bohr's model, the electron can jump from a higher energy level to a lower energy level by emitting a certain amount of radiation that is conveyed by a particle called a photon. However, to move from a lower energy level to a higher one, the electron will need to receive a certain amount of energy. The amount E of energy conveyed by the photon is given by the formula
where f is the frequency of the photon and h is a constant, called Planck's constant after the name of the German physicist who was among the first to explore the new quantum physics, whose value is
(Figure 6).
The Planck constant plays a fundamental role in quantum physics and characterizes numerous phenomena that occur in the atomic and subatomic worlds. Once again, it is an extraordinarily small number that allows us to intuit the scale at which quantum phenomena, with their bizarre properties, can manifest themselves.
Quantization is a property that concerns not only atomic energy levels but also electromagnetic waves, of which visible light is an example. In fact, the first scientist to notice this singular property of light at the beginning of the last century was Planck himself. The German physicist hypothesized that light was composed of discrete packets called quanta, which were later called photons.
Quantization is only one of the bizarre properties of this new world. The feeling of strangeness that we experience derives from the fact that, inevitably, we try to understand the atomic and subatomic world being conditioned by the ordinary experiences of our daily life. Quantum physics, however, is a continuous source of surprises and the phenomenon we will now discuss definitively demolishes the reassuring panorama of classical physics.
Let's try to imagine a new (very) imaginary experiment, in which the footballer we were talking about earlier moves to a quantum football league. In this singular league, the ball is replaced by an electron, and the player will attempt the difficult feat of scoring a goal by kicking an electron. What happens to the electron when it is kicked?
Let's focus on two physical properties of the electron, namely the position it will assume on the field and the velocity it will acquire as a result of the kick. To better understand what will be said later, let's consider a physical quantity other than velocity but closely related to it. We will call this quantity "momentum" and indicate it with the letter p. The momentum p is defined as the product of the mass m of the object we are considering, the electron in our case, and its velocity v. In formulas, the momentum of an object can therefore be calculated with the expression:
Why introduce this further complication? The reason is that in the dynamic behavior of an object, what matters is the mix of mass and velocity. Let's try to imagine, for example, throwing a ping pong ball and a billiard ball at a wall with the same velocity. It is easy to imagine that the effect on the wall will be decidedly different in the two cases, precisely because the two objects, at the same velocity, are characterized by different masses.
When the player kicks the electron, our quantum ball will acquire a certain value of momentum. What will then be the position occupied on the field by the electron immediately after the kick? Well, the disconcerting answer that quantum physics gives to this question is that we are not able to identify a precise position. The electron could be located at any point on the playing field: near the player's foot, in the midfield, inside the goal, behind the goal, or who knows where.
This surprising property of quantum objects was hypothesized in 1927 by the German physicist Werner Karl Heisenberg and is known as the uncertainty principle. This theoretical hypothesis has subsequently been confirmed by all the experiments that have been conducted. Heisenberg was actually a brilliant theoretical physicist and probably not a fan of quantum football, so let's now try to define more precisely the statement of the uncertainty principle and understand its spectacular consequences. The uncertainty principle states that if we precisely measure the momentum of a particle during a measurement, we can no longer know its position and vice versa. According to Heisenberg, the reason for this surprising behavior of a quantum particle is that the measurement process introduces a disturbance that modifies the properties of the object under observation. In the formula, we have that the uncertainty Δp in the momentum of a particle and the uncertainty Δx in its position are related to each other by the equation:
where h is Planck's constant.
Let's translate the statement of this formula from math-speak: the product of the relative uncertainties of the measurements of the position and momentum of a particle is always greater than or equal to a numerical value given by the ratio of Planck's constant to 4π. What does this mean? If we try to measure the position of the particle with great precision, making the uncertainty Δx very small, we get the effect of worsening the precision with which we can measure the momentum, making Δp very large.
Thus uncertainty dramatically intrudes into the quantum world: it is not an effect due to the characteristics of the instruments used to make the measurement or the procedures followed to make it, but rather an intrinsic property of quantum objects, which manifests itself due to the perturbation introduced by the measurement itself.
It is interesting to reconstruct how Heisenberg arrived at formulating the uncertainty principle theoretically. In quantum physics, measurable quantities are called observables and can be represented through particular mathematical structures called matrices. In simple terms, a matrix is a table of numbers organized in rows and columns. What happens if we perform a multiplication operation between two matrices A and B? Without going into the details of this calculation, the essential thing that is discovered is that multiplying A by B and then B by A does not necessarily yield the same result. In mathematical jargon, it is said that matrix multiplication does not enjoy the commutative property. This is a truly strange fact, but on the other hand, we have seen that strangeness (at least for us macroscopic observers) is a typical characteristic of the quantum world. The non-commutativity of the product between matrices clashes with what we have learned since the early years of school: if we multiply the numbers 3 and 2 together, the result of the calculation will always be 6, regardless of the order in which we insert the factors of the multiplication. What Heisenberg discovered was that there exist pairs of observables, called conjugate in mathematical jargon, which, due to their non-commutativity, are subject to an uncertainty relation like the one we saw before concerning the position and momentum of a particle.
Another important pair of conjugate observables, and therefore subject to an uncertainty relation, is constituted by the energy and time pair. If we try to measure the energy E possessed by a particle at a certain instant t, the two quantities will be related by the expression:
The consequence of this expression is that if, for example, we try to accurately determine the instant t at which a particle passes through a slit, we can know the energy E possessed by the particle with very low precision and vice versa. In other words, even for energy and time, we have to learn to be content and choose which of the conjugate observables we want to measure better.
Let's now try to imagine what would happen in the macroscopic world if the effects of the uncertainty principle were perceptible, returning to the example of measuring our pen. If we tried to measure the dimensions of the pen with ever-greater precision by changing the ruler, thus making the uncertainty Δx smaller and smaller, the uncertainty Δp on the momentum, and therefore on the velocity of the pen, would increase more and more. In other words, the pen would assume a velocity value that we would no longer be able to determine precisely. Would it remain still? Would it move like a snail? Or perhaps it would shoot away at the speed of light? Who knows. Fortunately, in our ordinary world, the effects of the uncertainty principle are absolutely negligible because Planck's constant h has such a small value as to be insignificant in the case of objects with dimensions immensely larger than those of the particles that populate the quantum world.
The theoretical implications of the uncertainty principle have a vast magnitude and also affect the methods that can be effective in describing phenomena in the quantum world. If uncertainty reigns supreme in this strange world, what mathematical methods can we use to describe the behavior of the objects that inhabit it? The only mathematical method that can come to our rescue is probability theory, and this is perhaps the most disruptive consequence of the uncertainty principle. This drastically changes the paradigm we must use to try to understand the phenomena of the quantum world. The best we can do, for example, in studying the behavior of an electron is to predict the probability that the electron may be found in a certain region of space or the probability that its velocity assumes a certain value.
The intrusion of probability in the description of the quantum world, dating back to the first two decades of the 20th century when the new quantum physics was taking its first steps, was not accepted by the entire scientific community of the time. One of the most convinced advocates of this approach was the Danish physicist Niels Bohr, who formulated what would later be known as the "Copenhagen interpretation". The Copenhagen interpretation argues that since we are unable to precisely measure the trajectory of a quantum particle, we must completely give up the concept of trajectory. If we want to try to describe the behavior of a particle, the most we can do is calculate the probability that it is in a certain region of space. In this view, for example, the orbits of the electron predicted by Bohr in his model of the hydrogen atom lose all meaning and must be replaced by spatial probability distributions.
One of the most fervent detractors of the Copenhagen interpretation was Albert Einstein. Einstein's opposition to a probabilistic conception of quantum phenomena has gone down in history with the famous phrase in which the great physicist claimed that "God does not play dice with the universe". In reality, Einstein's opposition to the ideas advocated by Bohr was based on the consideration that the new quantum physics could still be an incomplete theory, meaning that the need to introduce probabilistic concepts was a sort of anomaly due to insufficient knowledge of the properties of the quantum world.
This profound disparity of views on the nature of the quantum world has not yet been resolved on a theoretical level, even though more than a century has passed since the birth of quantum physics, and perhaps it never will be. How have physicists then dealt with this huge dilemma so far? In a very pragmatic way, they have focused on this simple question: does the quantum theory based on the concept of probability correctly explain the phenomena of the quantum world and make reliable predictions? One hundred years of experiments have shown that fortunately, the answer to this question is yes.
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